Codice di Procedura Penale art. 597 - Cognizione del giudice di appello.

Raffaello Magi

Cognizione del giudice di appello.

1. L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti [581, 585 4].

2. Quando appellante è il pubblico ministero:

a) se l'appello riguarda una sentenza di condanna [533 s.], il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie [17 s. c.p.] o aumentare la quantità [132 s. c.p.] della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza [199 s. c.p.] e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;

b) se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento [529-531], il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;

c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie [19 c.p.] e le misure di sicurezza [199 s. c.p.].

3. Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie [17 s. c.p.] o quantità [132 s. c.p.], applicare una misura di sicurezza [199 s. c.p.] nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado [521].

4. In ogni caso, se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze [59 s. c.p.] o a reati concorrenti [72 s. c.p.], anche se unificati per la continuazione [81 2 c.p.], la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita [245 2p trans.].

5. Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena [163 c.p.], la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale [175 c.p.] e una o più circostanze attenuanti [62, 62-bis c.p.]; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'articolo 69 del codice penale [245 2p trans.].

Inquadramento

L'art. 597 prevede che la cognizione del giudice d'appello è limitata ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi di censura. Se l'appello è stato proposto solo  dal pubblico ministero, il giudice d'appello può, se la sentenza appellata è di condanna (ma vedi sub art. 593), riqualificare il fatto in un reato più grave entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, mutare la specie della pena, aumentarne la quantità, revocare benefici, applicare misure di sicurezza ed adottare ogni altro provvedimento; se la sentenza appellata è di proscioglimento, prosciogliere per altra causa o condannare l'imputato, in tal caso emettendo gli ulteriori provvedimenti appena indicati. Se conferma la sentenza di condanna, il giudice d'appello può altresì applicare, modificare o escludere le pene accessorie e le misure di sicurezza. Se invece l'appello è stato proposto dal solo imputato, il giudice d'appello non può irrogare una pena di specie o quantità più gravi, né applicare nuove o più gravi misure di sicurezza, né prosciogliere per causa meno favorevole, né revocare benefici, mentre può anche in tal caso riqualificare più gravemente il fatto, purché sempre entro i limiti di competenza del giudice di primo grado. Se l'appello dell'imputato è accolto con riferimento a circostanze o reati concorrenti, anche se unificati in continuazione, il giudice d'appello deve ridurre la pena complessivamente inflitta. Il giudice d'appello può sempre, anche di ufficio, applicare la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna e circostanze attenuanti, nonché dare luogo al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti ai sensi dell'articolo 69 c.p.

Il divieto di riforma peggiorativa (c.d. reformatio in pejus )

Quando appellante è il solo imputato, il giudice d'appello non può adottare alcuna statuizione peggiorativa, ad eccezione della riqualificazione del fatto, ammessa peraltro esclusivamente nel caso in cui l'imputato sia stato posto in condizione di conoscere la riqualificazione e di contraddire rispetto ad essa.

Il principio si riferisce, in linea generale, non soltanto al trattamento sanzionatorio complessivo ma a tutti gli elementi che lo compongono, sicché quando il giudice d'appello accoglie l'appello dell'imputato con riferimento alle circostanze del reato, non può aumentare la pena base né modificare in senso deteriore le altre statuizioni della sentenza impugnata, ivi compresi determinazione della pena base, aumenti per le aggravanti, riduzioni per le attenuanti e aumenti per la continuazione, nemmeno nel caso in cui pervenga comunque ad una riduzione della pena complessivamente inflitta, per l'evidente interesse dell'imputato, in applicazione di tale regola, ad una riduzione maggiore (Cass. S.U., n. 40910/2005; Cass.V n. 14353/2019 Cass. IV, n. 18086/2015; Cass. II, n. 10052/2015; Cass. II, n. 45973/2013; Cass. II, n. 44332/2013; Cass. II, n. 28042/2012; Cass. V, n. 14991/2012). Più in generale, quando sia accolto l'appello dell'imputato, la pena complessiva va sempre ridotta, anche se vi è stato appello anche da parte del pubblico ministero, che sia stato evidentemente disatteso (Cass. S.U., n. 5978/1995). Sul tema si è di recente precisato che il divieto di reformatio in peius non è violato lì dove ad esito di una riqualificazione del reato in una fattispecie di minore gravità il giudice della impugnazione abbia individuato una pena base di identica entità rispetto a quella stabilita (nel minimo edittale) in primo grado, purchè venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella precedentemente inflitta (Cass. V n. 1281/2019).  

Non viola il divieto della "reformatio in peius" il giudice d'appello che, riformando la sentenza di condanna, applichi la misura di sicurezza prevista dalla legge quale conseguenza dell'assoluzione per vizio di mente dell'appellante (Cass., VI, n. 24744/2022).

La dottrina ha precisato, in proposito, che il divieto di riforma peggiorativa si applica al dispositivo della sentenza appellata, non già alla motivazione, sicché quand'anche questa sia meno favorevole per il reo, la sentenza non è affetta da nullità se il dispositivo non è meno favorevole per l'appellante (Bargis, 960), e il divieto si riferisce naturalmente alle statuizioni penali, non già a quelle civili.

Le statuizioni officiose meramente dichiarative

Diversa è la disciplina delle pene accessorie, che costituendo effetto penale della condanna devono essere applicate anche di ufficio, a prescindere dall'appello del pubblico ministero sul punto e nonostante il caso in cui appellante sia solo l'imputato (Cass. S.U., n. 8411/1998; Cass. VI, n. 49759/2012; Cass. VI, n. 31358/2011), se il giudice d'appello non pronunzi sentenza di proscioglimento. Medesimo principio vale con riferimento alla revoca della sospensione condizionale della pena, anche concessa con altra sentenza irrevocabile, quando essa ha contenuto dichiarativo e non valutativo, perché concessa in presenza di cause ostative o per la ricorrenza di cause di revoca per il cui accertamento sia sufficiente attività meramente ricognitiva (Cass. S.U., n. 7551/1998). Anche le sanzioni amministrative accessorie possono essere applicate d'ufficio dal giudice d'appello, fermo restando che qualora esse siano state applicate dal giudice di primo grado, il proscioglimento dell'imputato dai reati che ne determinano l'applicazione impone la revoca di esse sanzioni (Cass. IV, n. 12363/2014).

La continuazione

Il giudice d'appello può conoscere della continuazione tra reati esclusivamente quando essa formi oggetto di motivo di appello, non essendogli riconosciuto alcun potere ufficioso in materia (Cass. V, n. 3867/2015; Cass. II, n. 49436/2013). Quando, a fronte di appello sul punto, il giudice d'appello muta la struttura dell'unificazione in continuazione tra più reati, contenuta nella sentenza di primo grado, ad esempio variando l'individuazione del reato più grave, può legittimamente variare, entro i limiti quantitativi fissati nella sentenza appellata, la pena base per il reato ritenuto in appello più grave o la quantità di aumento di pena per alcuni tra i reati satellite, a condizione che la pena complessiva risultante non ecceda la pena finale complessivamente inflitta dalla sentenza appellata (Cass. S.U., n. 16208/2014 ; Cass. III, n. 7258/2018 ; Cass. III, n. 45027/2015; Cass. II, n. 29017/2014; Cass. VI, n. 15890/2014; Cass. VI, n. 49820/2013), sebbene possa essere inflitta la pena pecuniaria non prevista per il reato in precedenza ritenuto più grave, ma prevista per il reato in precedenza ritenuto satellite ed in appello ritenuto più grave (Cass. II, n. 44657/2015; Cass. III, n. 2833/2015), ma alla ulteriore condizione, secondo altro orientamento, che l'aumento della pena per i reati satellite dipenda dalla variazione, non potendo legittimamente essere incrementato l'aumento di pena per un reato satellite, quando rispetto ad esso le statuizioni della sentenza di primo grado siano state confermate, anche se la pena complessivamente inflitta sia stata ridotta a séguito di riduzione della pena base o per altra causa (Cass. III, n. 17113/2015; Cass. V, n. 41188/2014). Qualora il giudice d'appello dichiari estinto il reato che aveva determinato il calcolo della pena base, nel rideterminare la pena base in relazione ad altro reato, già satellite, non può eccedere la misura della pena base già individuata dalla sentenza impugnata in relazione al reato poi estinto (Cass. II, n. 5502/2014), ed analogo principio vale nel caso in cui l'imputato sia assolto dal reato più grave (Cass. V, n. 39837/2013). In ogni caso, laddove alcuni dei reati concorrenti siano esclusi, per proscioglimento o estinzione, dal giudice dell'appello, questi è tenuto a ridurre la pena complessiva finale (Cass. III, n. 38084/2009). Laddove invece il giudice d'appello riconosca la sussistenza di circostanze attenuanti, o escluda circostanze aggravanti, suscettibili di incidere sul trattamento sanzionatorio sia per il reato più grave sia per i reati satellite, è tenuto a ridurre la pena base e la pena finale, ed a motivare specificamente circa le ragioni per cui eventualmente ritenga di confermare la misura dell'aumento per i reati satellite (Cass. III, n. 3214/2015; Cass. VI, n. 45866/2012; Cass. IV, n. 41585/2010). Nel caso in cui le circostanze attenuanti riguardassero il reato più grave, determinante la pena base, il giudice d'appello che prosciolga l'imputato da tale reato può, nel rideterminare la pena con riferimento al più grave dei reati già satellite, non tenere conto di quelle circostanze attenuanti (Cass. V, n. 19222/2015). Analogamente, qualora il giudice d'appello escluda il reato satellite, può escludere anche le relative attenuanti e di conseguenza rimodulare il giudizio di comparazione oppure non procedere all'attenuazione sulla pena rideterminata in relazione al reato più grave residuo, purché la pena complessiva sia in ogni caso ridotta (Cass. III, n. 52034/2014).

Nel giudizio di appello, il divieto di "reformatio in peius" della sentenza impugnata dall'imputato non riguarda solo l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione e, quindi, anche l'aumento conseguente al riconoscimento della continuazione, sicchè vi è violazione di tale divieto nel caso in cui, in presenza di impugnazione da parte del solo imputato di una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, non si diminuisca l'entità della pena originariamente inflitta pur pronunciando assoluzione per un reato-satellite (Cass., II , n. 6043/2022).  

Non viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice di appello che, nel riformare la sentenza di condanna per reati avvinti dalla continuazione, pronunci - in accoglimento dell'impugnazione proposta dal solo imputato - sentenza di assoluzione per il reato più grave, rideterminando la pena in misura inferiore a quella applicata in primo grado, nonostante il giudizio di bilanciamento delle circostanze, riferite al reato per il quale viene confermata la condanna, risulti meno favorevole rispetto al precedente giudizio, effettuato inrelazione alle circostanze del reato originariamente ritenuto più grave(Cass., II, n. 2867/2022).

Viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice dell'impugnazione che, dopo aver riqualificato in termini di minore gravità il fatto sul quale è commisurata la pena base, anche a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, pur irrogando una sanzione complessivamente inferiore a quella inflitta in primo grado, applichi per i reati satellite - già unificati dalla continuazione - un aumento di pena maggiore rispetto a quello praticato dal giudice della sentenza riformata (Cass., V, n. 34497/2021).

Le circostanze del reato

Il divieto di riforma peggiorativa e il principio dell'obbligatoria riduzione della pena conseguente al riconoscimento di circostanze attenuanti determina che, al di fuori dei casi in cui operi un autonomo giudizio di comparazione, il giudice d'appello che riconosca la sussistenza di circostanze attenuanti non riconosciute in primo grado deve applicare una ulteriore attenuazione della pena ma non ha il potere, nemmeno quando la pena finale sia comunque complessivamente ridotta, di ridurre quantitativamente l'attenuazione della pena già riconosciuta dal giudice di primo grado per altre circostanze attenuanti, sicché l'ulteriore riduzione deve computarsi sulla riduzione già concessa e non su una riduzione di minore rilievo (Cass. III, n. 3903/2015; Cass. I, n. 45236/2013). L'attenuazione è dovuta anche quando vengano escluse circostanze aggravanti, anche nel caso in cui il giudice di primo grado non ne avesse tenuto conto nel computo della pena, per aver ritenuto prevalenti le circostanze attenuanti o per altra causa, salvo che il giudice di primo grado abbia applicato la pena minima edittale (Cass. VI, n. 23356/2014;Cass. V, n. 24661/2014; Cass. V, n. 14991/2012). Anche alle circostanze del reato si applica il generale principio per cui il divieto di riforma peggiorativa vale per tutti gli elementi che concorrono alla determinazione del trattamento sanzionatorio, per cui il giudice d'appello che riduca la pena base non può applicare un aumento per circostanze aggravanti, già riconosciute dal giudice di primo grado, superiore a quello computato da quest'ultimo, neppure se la pena risultante sia complessivamente inferiore a quella inflitta dalla sentenza appellata (Cass. II, n. 35183/2013; Cass. VI, n. 36753/2012). 

Viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice di appello che, in accoglimento dell'impugnazione dell'imputato, nel concorso di due circostanze aggravanti ad effetto speciale, avendo escluso quella più grave ai sensi dell'art. 63, comma quarto, cod. pen., applichi per la residua un aumento sulla pena base in misura legale ma superiore a quello ritenuto dal primo giudice, pur irrogando una sanzione complessivamente inferiore (Cass., I, n. 37985/2021) .

Le circostanze attenuanti possono essere riconosciute anche d'ufficio dal giudice d'appello, ma nel caso non lo siano state, l'imputato che non ne abbia fatto oggetto di specifica censura alla sentenza di primo grado non può dolersene ricorrendo per cassazione per questo motivo (Cass. V, n. 37569/2015; Cass. VII, n. 16746/2015; Cass. VI, n. 6880/2010).

Il giudizio di comparazione tra circostanze

La norma in commento prevede che il giudice d'appello debba ridurre la pena complessiva quando accoglie l'appello dell'imputato in relazione a circostanze del reato o reati concorrenti, ma anche che il giudice d'appello possa in ogni caso, ed anche di ufficio, procedere ad autonomo giudizio di comparazione tra le circostanze del reato ai sensi dell'art. 69 c.p. Tale giudizio, peraltro, consegue all'esclusione di aggravanti o al riconoscimento di attenuanti in appello (Cass. S.U., n. 7346/1994). Ne consegue che quando il giudice d'appello accolga il ricorso dell'imputato con riferimento a circostanze del reato, escludendo aggravanti o riconoscendo attenuanti, può comunque legittimamente confermare la pena inflitta con la sentenza appellata, se motiva specificamente circa il fatto che all'esito del giudizio di comparazione tra le circostanze così come individuate all'esito del giudizio di appello, la pena inflitta va confermata (Cass. S.U., n. 33752/2013; Cass. V, n. 18836/2014; Cass. V, n. 10176/2013; Cass. VI, n. 41220/2012). Quando invece l'imputato intenda censurare il giudizio di comparazione svolto nella sentenza appellata, deve farne motivo di specifica doglianza, non potendo il giudice dell'appello provvedere di ufficio a rivedere il giudizio di comparazione svolto dal giudice di primo grado quando le circostanze da comparare restino quelle ivi considerate (Cass. V, n. 7309/2015), e quando l'appello sul punto sia proposto, il giudice d'appello non può riformare il giudizio di comparazione in senso sfavorevole all'imputato, nemmeno se confermi la pena inflitta con la sentenza appellata (Cass. I, n. 7904/2013).

Non viola il divieto di "reformatio in peius" la decisione del giudice di appello che, nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, avendo riconosciuto una ulteriore circostanza attenuante, operi una minore riduzione per le già applicate attenuanti generiche, purchè l'entità della pena complessiva irrogata risulti diminuita e la decisione sia sorretta da adeguata motivazione  (Cass.V, n.19366/2020).

Viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice d'appello che, a seguito di impugnazione del solo imputato, riconosca allo stesso un'attenuante, ma non proceda alla diminuzione della pena base, giudicando tale circostanza equivalente ad un'aggravante contestata, ma non computata dal giudice di primo grado nella determinazione del trattamento sanzionatorio (Cass., V, n.40890/2022).

Profili di diritto intertemporale

Nel caso in cui il giudice d'appello debba applicare una norma sostanziale più favorevole per l'imputato intervenuta dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, legittimamente applica una pena che sia inferiore al minimo edittale previsto dalla previgente disciplina ma superiore al minimo edittale previsto dalla disciplina più favorevole sopravvenuta, purché complessivamente inferiore rispetto alla pena inflitta nella sentenza appellata, se l'appello meriti accoglimento (Cass. VI, n. 45926/2015; Cass. III, n. 33396/2015; Cass. III, n. 23952/2015; Cass. IV, n. 48334/2009), ma si registra altro orientamento secondo cui laddove il giudice di primo grado abbia applicato il minimo edittale previgente, il giudice d'appello debba applicare il minimo edittale più favorevole sopravvenuto (Cass. VI, n. 6067/2015; Cass. III, n. 31163/2014; Cass. VI, n. 15152/2014).

La riqualificazione del fatto

Il giudice d'appello può sempre, anche d'ufficio, indipendentemente dal fatto che l'appello sia stato proposto dal solo imputato, variare la qualificazione giuridica del fatto, purché entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, mentre qualora il fatto vada riqualificato in un reato eccedente tale competenza, il giudice d'appello deve annullare la sentenza e trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado competente (Cass. I, n. 35909/2015; Cass. VI, n. 2828/1999). Quando riqualifica il fatto-reato contestato in termini meno gravi, il giudice d'appello può operare attenuazioni della pena diverse ed inferiori rispetto alla sentenza appellata, perché la riqualificazione del fatto varia i termini valutativi della vicenda, ma a condizione che la pena finale sia complessivamente ridotta rispetto a quella inflitta con la sentenza appellata (Cass. V, n. 41188/2014), salvo, anche in tal caso, un autonomo e diverso giudizio di comparazione delle circostanze, che può condurre all'inflizione di una pena non superiore a quella appellata, anche se non inferiore ad essa (Cass. II, n. 43288/2015). La riqualificazione del fatto in un reato più grave, invece, è consentita, anche quando appellante è il solo imputato, anche se da essa dipendano conseguenze penitenziarie sfavorevoli per l'imputato (Cass. II, n. 2884/2015; Cass. V, n. 10445/2012) o un termine di prescrizione più lungo (Cass. VI, n. 32710/2014; Cass. I, n. 6116/2014; Cass. II, n. 26729/2013; Cass. I, n. 474/2013). In materia, peraltro, il confronto con il principio del giusto processo previsto dall'art. 6 Cedu ha indotto parte della giurisprudenza ad affermare che la riqualificazione in reato più grave sia consentita anche senza rinnovare l'istruttoria dibattimentale, a condizione che la riqualificazione fosse ragionevolmente prevedibile, l'imputato abbia avuto modo di contraddire sulla diversa qualificazione e questa non abbia determinato conseguenze negative né dal punto di vista sanzionatorio né dal punto di vista del termine di prescrizione del reato (Cass. V, n. 42577/2018; Cass. II, n. 2884/2015; Cass. II, n. 38049/2014; Cass. II, n. 46401/2014).

Il giudizio di rinvio

Nel giudizio di rinvio all'esito di annullamento in cassazione della sentenza d'appello, il principio del divieto di riforma peggiorativa si applica altresì se il ricorso per cassazione fu proposto dal solo imputato, a nulla rilevando che l'appello fosse stato originariamente proposto solo od anche dal pubblico ministero, sicché in tal caso il giudice del rinvio non può eccedere il trattamento più favorevole per l'imputato individuato tra tutte le sentenze di primo grado, d'appello e di rinvio succedutesi nel giudizio (Cass. S.U., n. 16208/2014; Cass. IV, n. 47900/2013; Cass. II, 3161/2013; Cass. II, n. 34557/2009), come evidenziato anche dalla dottrina (Beltrani, 839). Nel giudizio di rinvio, peraltro, il principio trova applicazione esclusivamente con riferimento ai capi della sentenza oggetto di annullamento (Cass. S.U., n. 6019/1993), ma nel caso in cui sia stata annullata parzialmente la sentenza, con riferimento al solo reato più grave, il giudice del rinvio non potrà rideterminare la pena base in misura superiore rispetto alla pena base computata nella sentenza parzialmente annullata (Cass. VI, n. 4162/2013), mentre qualora per il reato più grave debba essere pronunziata sentenza di proscioglimento a séguito dell'annullamento, la pena per il reato residuo deve essere rideterminata, se la pena inflitta a titolo di continuazione è inferiore al minimo edittale, nei limiti edittali ed in misura non superiore alla pena inflitta con la sentenza parzialmente annullata (Cass. I, n. 32621/2009).

Il nuovo giudizio di primo grado

Il principio del divieto di riforma peggiorativa non si applica, invece, nel caso in cui la sentenza annullata in cassazione sia la sentenza di primo grado, neanche se il ricorso fu proposto dal solo imputato, sicché nel nuovo giudizio di primo grado il giudice non è vincolato alla pena inflitta con la sentenza di primo grado annullata dal giudice di legittimità (Cass. S.U., n. 17050/2006; Cass. II, n. 24820/2009).

I benefici concedibili di ufficio

Qualora l'appellante non abbia specificamente richiesto l'applicazione del beneficio della non menzione, il giudice d'appello non è tenuto a motivare l'omessa applicazione di esso, e tale omessa motivazione non può fondare ricorso per cassazione (Cass. S.U., n. 10495/1996; Cass. IV, n. 43125/2008). Qualora invece, a fronte di benefici concessi in primo grado, la sentenza d'appello nulla disponga, essi devono ritenersi implicitamente confermati, anche se ne siano state variate o eliminate le condizioni di concessione indicate nella sentenza appellata (Cass. III, n. 16184/2013).

Risolvendo un contrasto interpretativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. n. 22522/2019) hanno affermato, quanto alla previsione di legge di cui all'art. 597 comma 5 cpp, che la disposizione in parola rappresenta una delle deroghe al principio devolutivo, e la sua applicazione - in presenza degli elementi di fatto che consentano la concessione del particolare beneficio - rappresenta un 'dovere', anche in assenza di una sollecitazione di parte. Al contempo, trattandosi di potere/dovere ufficioso e discrezionale, il suo mancato esercizio,  privo di esposizione delle ragioni di tale scelta- in assenza di una richiesta di parte - non può formare oggetto di ricorso per cassazione. La richiesta di parte, idonea a legittimare la doglianza, può essere introdotta anche in sede di conclusioni del giudizio di secondo grado ovvero, in caso di ribaltamento della assoluzione, in sede di conclusioni subordinate proposte in primo grado.

La Corte di Appello non può escludere la recidiva riconosciuta in primo grado in assenza di uno specifico motivo di appello dell'imputato, trattandosi di un'ipotesi non prevista dall'art. 597. comma 5, cod. proc. pen., che individua in modo tassativo il potere di intervenire di ufficio sulla pena (Cass., III, n.25806/2022).

Le statuizioni civili

Il giudice d'appello non può, in assenza di appello della parte civile, modificare in senso sfavorevole all'imputato le statuizioni civili, dal momento che al giudizio civile esercitato in sede penale si applica in ogni caso il principio civilistico della domanda di parte, dell'iniziativa e dell'impulso di parte (Cass. II, n. 42822/2015; Cass. I, n. 50709/2014; Cass. IV, n. 990/2014;Cass. I, n. 2658/2011), ma si registra anche altro orientamento che esclude l'applicabilità del divieto di riforma peggiorativa alle statuizioni civili (Cass. V, n. 25520/2015; Cass. V, n. 8339/2013; Cass. I, n. 17240/2011; Cass. VI, n. 38976/2009). Quando l'appello sia stato proposto esclusivamente dalla parte civile, il giudizio di responsabilità dell'imputato per il reato dal quale dipende il danno deve essere svolto secondo le regole del processo penale e non già secondo le diverse regole proprie del processo civile, sicché non è applicabile il principio d'inversione dell'onere della prova né il principio dispositivo della stessa (Cass. IV, n. 42995/2015). Nel caso in cui la sentenza appellata abbia pronunziato condanna generica, la parte civile può chiedere per la prima volta in appello la pronunzia di condanna provvisionale (Cass. III, n. 42684/2015; Cass. I, n. 17240/2011).  Vedi però: in caso di sentenza di primo grado di condanna al pagamento di una provvisionale, il giudice d'appello, in difetto di specifica impugnazione della parte civile volta a contestare la determinazione del "quantum" o dell'insorgenza di fatti nuovi che possano incidere sulla futura liquidazione definitiva del danno, non può modificarne in aumento l'importo, pena la violazione del principio devolutivo e del divieto di "reformatio in peius" (Cass., V, n. 40274/2021).

Le pene irrogate dal giudice di pace

Quando il giudice dell'appello riconosca che al reato in contestazione vadano applicate le pene previste per i reati di competenza del giudice di pace, mentre il giudice di primo grado ha applicato le pene previste dal codice penale, può applicare le pene previste senza alcuna comparazione con le pene inflitte, dal momento che le prime sono ontologicamente meno gravi delle seconde, indipendentemente dall'aspetto concreto (Cass. I, n. 34206/2015).

Le misure di sicurezza

Quando appellante è il solo imputato, al giudice d'appello è proibito applicare misure di sicurezza, nuove o più gravi (Cass. III, n. 12999/2015; Cass. VI, n. 15892/2014; Cass. I, n. 20004/2009), ed il principio vale in generale anche per la confisca (Cass. VI, n. 39911/2014; Cass. VI, n. 13049/2013; Cass. VI, n. 7507/2009; Cass. VI, n. 10346/2008; Cass. VI, n. 26268/2006).

La pena illegale di favore

Quando appellante sia il solo imputato, il giudice dell'appello non può modificare una pena illegale riportandola nell'alveo della legalità quando tale operazione determinerebbe una pronunzia meno favorevole per l'imputato (Cass. IV, n. 49404/2013).

Il procedimento di sorveglianza

Il divieto di riforma peggiorativa opera anche nel giudizio di appello proposto innanzi al tribunale di sorveglianza (Cass. V, n. 48786/2013).

L'applicazione della pena su richiesta delle parti

Nel caso in cui il giudice d'appello intenda accogliere la richiesta di patteggiamento respinta in primo grado per dissenso del pubblico ministero, deve fare riferimento alla pena finale concordata, sicché se questa sia inferiore alla pena inflitta dal giudice di primo grado, il giudice d'appello può applicarla, anche se il computo muova da una pena base superiore a quella inflitta dal giudice di primo grado nella sentenza appellata (Cass. III, n. 32050/2013).

L'appello del pubblico ministero

Quando appellante sia solo o anche il pubblico ministero, il giudice dell'appello che accolga l'impugnazione condannando l'imputato assolto dal giudice di primo grado, è tenuto a motivare specificamente circa l'omessa concessione di benefici (Cass. V, n. 5581/2015; Cass. VI, n. 14758/2013). Quando il pubblico ministero appellante abbia espressamente richiesto la riqualificazione del fatto, l'imputato che abbia scelto di non partecipare al giudizio d'appello non può dolersi di non essere stato messo in grado di contraddire (Cass. V, n. 14040/2014; Cass. II, n. 35678/2013; Cass. V, n. 231/2012).

L'effetto devolutivo dell'appello

L'appello è parzialmente devolutivo, come precisato anche dalla dottrina (Bargis, 898), ma, fermo restando che il giudice d'appello può pronunziarsi esclusivamente con riferimento ai capi impugnati, esso è titolare del potere di verificare ampiamente tutte le motivazioni della sentenza, senza essere vincolato dal fatto che alcune motivazioni non siano state oggetto di specifica censura (Cass.S.U. , n. 33748/2005; Cass. V, n. 40981/2014; Cass. II, n. 18057/2014; Cass. V, n. 46451/2008), dal momento che il giudicato si forma sui capi della sentenza e non già sui punti della motivazione (Cass.S.U. , n. 1/1996; Cass.S.U. , n. 1/2000; Cass.S.U. , n. 10251/2007). Come si è osservato al par. 1, il giudice d'appello non può limitare il proprio sindacato alla sola tenuta della motivazione della decisione di primo grado ma, nei limiti del devoluto, ha un preciso dovere di rivalutazione delle prove (Cass. II, n. 8947/2016). In tema di cognizione del giudice di appello, nella locuzione “punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti” di cui all'art. 597, comma primo, debbono ricomprendersi non solo i “punti della decisione” in senso stretto, e cioè le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione nell'ambito della decisione relativa ad un determinato reato, ma anche quelle riguardanti capi della sentenza che, sebbene non investiti in via diretta con i motivi concernenti altro reato, risultino tuttavia legati con i primi da un vincolo di connessione essenziale logico-giuridica (Cass. VI, n. 13675/2016). Nel caso in cui sia stato proposto appello che investa la responsabilità dell'imputato, ma non anche la pena inflitta, il giudice d'appello può pronunziarsi solo sulla responsabilità, ma non anche sulla pena, non essendo titolare nemmeno del potere di provvedere d'ufficio alla rideterminazione di essa (Cass. VI, n. 7994/2015; Cass. IV, n. 46584/2004) salva l'ipotesi pena illegale per eccesso in ordine alla quantità, potendosi, in tal caso, prescindere dalla esistenza del motivo, in virtù del principio costituzionale della legalità della sanzione (Cass. I, n. 8405/2009). L'appello sulla responsabilità, invece, investe le circostanze del reato (Cass. V, n. 46513/2014), mentre l'appello sulla sola pena rende possibile anche la valutazione circa l'intervenuta prescrizione del reato (Cass. III, n. 43431/2014) non essendosi formato alcun giudicato parziale sul capo impugnato e risultando pertanto applicabile la disposizione generale di cui all'art. 129. Risolvendo un contrasto interpretativo, le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 12872/2017) hanno ― inoltre ― affermato che il giudice di secondo grado non può applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell'atto di appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta con riguardo a tale punto della sentenza impugnata. Va anche evidenziato che è conforme all'effetto devolutivo dell'appello la sentenza che non si pronunci in ordine al nesso di continuazione, con altro reato già oggetto di condanna irrevocabile, per essere stata la questione prospettata non già con i motivi di appello ma soltanto con la formulazione delle conclusioni (Cass. III, n. 17077/2011). In effetti, in sede di conclusioni non può essere ampliato l'oggetto del giudizio di appello che è delimitato dal contenuto dei motivi e delle richieste formulate con l'atto di impugnazione e con gli eventuali motivi aggiunti. Va anche ricordato che l'omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere come causa di nullità (per pretesa incompletezza) del provvedimento di secondo grado, fermo restando che può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che definisce il grado (Cass. VI, n. 18453/2012).

Ai fini dell'individuazione dell'ambito di cognizione attribuito al giudice di secondo grado dall'art. 597, comma 1, cod. proc. pen., per punto della decisione deve ritenersi quella statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo, non anche le argomentazioni esposte in motivazione, che riguardano il momento logico e non già quello decisionale del procedimento, con la conseguenza che, per la parte di sentenza suscettibile di autonoma valutazione relativa ad una specifica questione decisa in primo grado, il giudice dell'impugnazione può pervenire allo stesso risultato sulla base di considerazioni e argomenti diversi o alla luce di dati di fatto non valutati in primo grado, senza con ciò violare il principio dell'effetto parzialmente devolutivo dell'impugnazione (Cass., V, n. 29175/2021).

Casistica

Non è peggiorativa la sentenza d'appello che diminuisca la pena detentiva ed aumenti la pena pecuniaria se, all'esito del ragguaglio, la pena complessiva non sia superiore a quella appellata (Cass. VI, n. 27723/2013).

Il concorso di colpa dell'imputato può essere oggetto di appello, anche attraverso l'appello avverso la pena, ma qualora non lo sia stato, ne è precluso l'esame al giudice dell'appello e, se non dedotto nel giudizio di legittimità, anche al giudice del rinvio (Cass. III, n. 27120/2015).

Quando appellante è il solo imputato, non può essere revocata la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, anche se erroneamente concessa (Cass. IV, n. 47898/2013).

Quando l'appello del solo imputato investa l'attendibilità della persona offesa, legittimamente il giudice d'appello ne riqualifica la posizione, ritenendola testimone semplice e non già testimone assistito, come stabilito dal giudice di primo grado (Cass. II, n. 4123/2015).

Non vìola il principio di corrispondenza tra imputazione e sentenza la riqualificazione della partecipazione ad associazione mafiosa in concorso esterno, trattandosi di due diverse modalità di estrinsecazione dell'appartenenza al sodalizio, a condizione che l'imputato sia stato posto in condizione di conoscere la diversa qualificabilità del fatto e di contraddire sul punto (Cass. VI, n. 49820/2013).

La conferma della confisca del veicolo da parte del giudice dell'appello che contemporaneamente dichiari estinto il reato è legittima se l'appello non abbia investito la responsabilità penale (Cass. IV, n. 6740/2015).

Il giudice di appello, che su gravame del solo pubblico ministero condanni l'imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia impugnato la decisione assolutoria (Cass. V, n. 20343/2015).

In tema di giudizio d'appello, è illegittima, poiché in contrasto con il principio devolutivo sancito dall'art. 597, comma 1, c.p.p.., la decisione con cui il giudice, in riforma della sentenza di assoluzione dell'imputato in primo grado, impugnata soltanto dalla parte pubblica, condanni il predetto al pagamento, in favore della parte civile, di una provvisionale di cui questa abbia fatto richiesta solo in appello (Cass. V, n. 19069/2020).  

La richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria ex art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, può essere proposta per la prima volta anche in appello, in quanto non ricorre nessuna norma che vieta di avanzare tale istanza solo in secondo grado (Cass., I, n. 15293/2021).

Il giudice di appello può revocare "ex officio" la sospensione condizionale della pena concessa, in violazione dell'art. 164, comma quarto, cod. pen., in presenza di cause ostative, a condizione che le stesse non fossero documentalmente note al giudice che ha concesso il beneficio, avendo egli l'onere di procedere a una doverosa verifica al riguardo (Cass. III, n.42004/2022).

Il divieto di "reformatio in peius" previsto dall'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. per il giudizio di appello, pur non essendo espressamente richiamato dall'art. 10, comma 4, d.lgs. n. 159/2011, opera anche nel procedimento di prevenzione. (Cass., I, n. 25907/2021).

Bibliografia

Beltrani, Il giudizio di rinvio, in Spangher, Trattato di procedura penale, Torino, 2009; Bargis, Impugnazioni, in Conso-Grevi-Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2012,

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